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Nova Gorica, un fenomeno lungo il confine

“Vorremmo costruire qualcosa di grande, bello e maestoso, qualcosa che risplenda oltre il confine”, erano le parole del professore Edvard Ravnikar, autore del primo piano urbanistico di Nova Gorica. Venne invece costruita una città così come erano in grado di costruirla le persone che vivevano in questa parte della Slovenia. Una città che riflette un’immagine realistica dei nostri tre quarti di secolo di storia in questo luogo; una città che non è un monumento, ma è una città vitale, mai completata, con una moltitudine di idee tracciate ancora da portare a termine, potenziare, evolvere e ricreare. 

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Modello in bronzo della Nova Gorica di Ravnikar, foto: Katarina Brešan.

L’idea di costruire una nuova città partendo dalle fondamenta nacque nel 1946, a un anno dalla fine della Seconda guerra mondiale, quando già era chiaro che il nuovo confine tra Italia e Jugoslavia avrebbe separato la città di Gorizia dal suo entroterra e che al posto di un territorio integro sarebbero emerse due entità: la città di Gorizia come una testa senza corpo dalla parte italiana e il suo entroterra, il Goriziano, come un corpo senza testa dalla parte jugoslava. La decisione di costruire una nuova città che avrebbe sostituito la perduta Gorizia era inizialmente solo un desiderio ovvero una richiesta degli abitanti del Goriziano, ma ben presto divenne un vero e proprio progetto politico con cui, proprio alle estremità del blocco socialista di allora, la Jugoslavia avrebbe fatto sfoggio della capacità e della volontà del nuovo ordine sociale nei confronti del “marciume” del capitalismo occidentale.

La nuova città venne ubicata proprio accanto al confine, affinché un giorno potesse riunirsi con la “perduta” Gorizia. Tra le diverse proposte pervenute, la soluzione vincente era firmata dall’architetto Edvard Ravnikar. Si trattava di progettare una città moderna seguendo l’esempio dell’urbanistica contemporanea europea, il cui principale fautore era l’architetto franco-svizzero Charles-Édouard Jeanneret-Gris, detto Le Corbusier, di cui Ravnikar era studente prima della Seconda guerra mondiale.

La città fu edificata su un suolo un tempo prevalentemente paludoso e in parte sui resti del cimitero abbandonato di Gorizia. Per questo motivo il terreno doveva essere debitamente predisposto e bonificato prima che iniziassero i lavori di costruzione. Pochi mesi dopo la demarcazione del confine, precisamente il 3 dicembre 1947, le Brigate di lavoro giovanili jugoslave iniziarono già a sistemare il torrente Corno per lo scolo delle acque in eccesso della futura area cittadina. La città, infatti, doveva essere una città dei giovani, una città del futuro, costruita dalla gioventù jugoslava.

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Regolazione del torrente Koren nel 1948. Fonte: PANG.

Così, il 13 giugno 1948, fu posta la prima pietra del primo edificio condominiale. Erano passati meno di nove mesi dalla decisione di costruire una città nella zona chiamata Blanče (parte meridionale dell’odierna città) fino alla posa della prima pietra. Durante quel periodo furono assicurate le risorse finanziarie necessarie, vennero elaborati i piani e realizzate le infrastrutture di base necessarie. Oggi non possiamo che ammirare quest’impresa difficilmente ripetibile. 

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Costruzione dei primi blocchi residenziali. Sostiene: Goriški muzej.

Tutte le città vivono i propri alti e bassi, ma Nova Gorica ebbe la sua prima batosta subito all’inizio. Dall’oggi al domani, la nuova città si ritrovò fuori dal centro dell’attenzione politica. Per via del conflitto insorto tra Tito e Stalin nel 1948, la Jugoslavia si era guadagnata un nemico in Oriente e, al contrario, l’Occidente stava diventando un suo amico e alleato sempre più potente. L’idea di risplendere oltre il confine diventò insignificante e con ciò si prosciugarono in larga misura anche le risorse finanziarie dello Stato che avrebbero consentito di proseguire le costruzioni. Di punto in bianco tutti volevano liberarsi di questa città, di questo bambino nato prematuro, incapace di sopravvivere da sé. Alla fine tutto l’impegno legato alla costruzione della città ricadde sulla popolazione locale che, indipendentemente dagli obiettivi politici, ne aveva un disperato bisogno.

Dopo questo shock, negli anni Cinquanta Nova Gorica si riprese a fatica e solo grazie alle proprie forze. A metà degli anni Sessanta, invece, trovò un nuovo slancio. Ciò fu dovuto in larga misura proprio al confine stesso che ne aveva causato l’origine. La posizione lungo il confine – all’epoca si ribadiva con orgoglio che si trattava del confine più aperto d’Europa, fatto indiscutibile almeno sulla linea tra Est e Ovest – offriva a questa zona delle straordinarie opportunità di sviluppo, non solo grazie alla liberalizzazione del flusso delle merci, ma soprattutto grazie al flusso delle idee e all’importazione dei concetti occidentali più all’avanguardia che fecero diventare l’industria di Nova Gorica leader in molti settori del mercato jugoslavo, con l’esportazione diretta soprattutto verso l’Ovest. Grazie a un’economia sana, la città sperimentò una rapida ascesa ed espansione, la popolazione crebbe rapidamente e furono costruite numerose strutture necessarie a livello regionale quali l’ospedale, le scuole superiori, gli edifici culturali e simili. Negli anni Ottanta del secolo scorso, quando la Jugoslavia si ritrovò in una crisi politica ed economica, anche Nova Gorica ne risentì con uno stallo dello sviluppo che arrivò addirittura a spegnersi del tutto. 

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Una veduta di Nova Gorica nei primi anni '50. Sostiene: Goriški muzej.

Con l’indipendenza della Slovenia nei primi anni ‘90 anche Nova Gorica venne inondata da un senso di ottimismo. La sensazione di diventare presto parte di un’Europa unita fece nascere tra gli abitanti e i politici il desiderio di migliorare la città, costruendo un nuovo teatro, una nuova biblioteca, una piscina comunale, ecc. Ma la posizione sul confine ha permesso a Nova Gorica di diventare anche il più grande centro del gioco d’azzardo in questa parte d’Europa, non rendendo affatto contenta la maggior parte degli abitanti di Nova Gorica che era ben consapevole della vulnerabilità di un orientamento economico monoculturale così pronunciato. 

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La vista dal grattacielo in via Kidričeva. Sostiene: Goriški muzej.

L’idea di unire le due città sul confine, Gorizia dalla parte italiana e Nova Gorica dalla parte slovena, si faceva sempre più allettante e realizzabile, ma allo stesso tempo sorgevano interrogativi su come connettere le due città. Avrebbero dovuto unirsi in una città o sarebbero dovute rimanere due città separate, ciascuna conservando le proprie caratteristiche storiche, urbanistiche e culturali, seppur collegate in un insieme inscindibile come due gemelli siamesi che non possono essere disgiunti l’uno dall’altro? 

L’eccezionale posizione sul confine ha generato l’idea di celebrare simbolicamente l’adesione della Slovenia all’Unione Europea il 30 aprile 2004 proprio a Nova Gorica, sul piazzale antistante la stazione ferroviaria, diviso dal confine in due parti uguali e trasformato in occasione di quell’evento in uno spazio comune. In ricordo di quell’evento, la piazza Transalpina con il mosaico simbolico si chiama sul versante sloveno Trg Evrope, ovvero piazza Europa, ed è anche il simbolo del collegamento delle due città.

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Trg Evrope, foto: Katarina Brešan.

L’area lungo il confine, per molti anni terra di nessuno, situata nell’entroterra di entrambe le città, iniziò così ad acquisire un ruolo simbolico di integrazione e divenne il fattore determinante per cui Nova Gorica e Gorizia ottennero insieme il titolo di Capitale Europea della Cultura per l’anno 2025. Questo sarà l’anno in cui le due città si collegheranno e si uniranno nuovamente proprio attraverso questo spazio abbandonato in passato.

Lo sviluppo di Nova Gorica è proseguito per la sua strada, adattandosi e anche allontanandosi dal progetto originale che si può vedere sul plastico rappresentato dal monumento situato nel centro della città. Sarà stato un bene o un male? Se il progetto originale fosse stato rigorosamente rispettato, tenendo conto delle condizioni in cui si è sviluppata la storia della città, ci sarebbero state ancora meno costruzioni. Oppure sarebbero state edificate opere che magari non sarebbero state più conformi alle mutate esigenze della vita moderna. Anche a Nova Gorica si possono così osservare le varie stratificazioni e le tracce del tempo: saltano subito all’occhio le costruzioni risalenti agli inizi del progetto concettuale rispetto agli edifici che sono invece frutto degli anni ‘70 o del nuovo millennio. Come disse il prof. Ravnikar: “La vita di una città consiste nella sua perenne trasformazione, altrimenti non esiste affatto”. Nonostante tutto, l’impronta del suo ideatore è rimasta. Così com’è rimasta l’idea di dare vita alla via centrale della città – la via Kidričeva, detta Magistrala, che tuttora non ha acquisito la forma e la funzione che Ravnikar aveva immaginato, ma sicuramente prima o poi lo farà.

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La prospettiva di Ravnikar della Magistrale. Sostiene: MAO.

Tomaž Vuga, urbanista di Nova Gorica, autore del libro Projekt: Nova Gorica (Založba ZRC SAZU, 2018)

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